Il mio ultimo giorno di scuola era atteso. La sera prima spesso c'era il Festivalbar e dicevo "dalla settimana prossima lo posso guardare quanto voglio, tanto non ho scuola", ma poi finivo per fare altro.
Iniziavo già con le programmazioni da fare come la piscina, il mare, gli amici da invitare e poi me ne stavo al computer o alla Play.
L'ultimo giorno esatto di scuola spesso voleva dire pasticcini, ricordi, gavettoni e addii. Poco doloroso fu quello delle medie tranne per la partaccia che mi presi quando non avvertii di rimanere a fare i gavettoni in pineta; alle elementari finirono cinque anni stupendi con la sconfitta di Istanbul e lo scudetto alla Juve: se piansi diciamo che avevo qualche motivo valido...
Ogni anno l'ultimo giorno delle superiori era sempre condito dalla gioia per la fine dell'incubo, ma anche per la malinconia nel non rivedere per tre mesi molti miei amici.
Simbolico l'ultimo giorno di quarta: iniziavano tre settimane di stage al caldo e si inauguravano anche gli europei.
In quinta non mi accorsi subito della fine: il resoconto strappalacrime, gli esami con la tesina, la cena con le imitazioni e qualche amico sfavato attutirono i miei ultimi giorni da studente del Marchi.
Quando suonò la campanella delle undici sospirai: non era gioia, era preoccupazione, rammarico, tristezza e malinconia.
Entrato per caso in quella scuola di Pescia, avevo passato cinque anni tra alti e bassi e l'8 giugno,
avevo chiuso con campanelle, ritardi, sveglie bruttissime, mal di pancia e scuola dell'obbligo.
Non sapevo cosa mi aspettasse all'Università...
Quando però, tempo dopo, ripensi all'ultima campanella dell'ultimo giorno di scuola pensi che come stavi al sicuro lì dentro, riparato dai veri problemi del mondo, forse, non starai da altre parti.
Nessun commento:
Posta un commento